Product Development per Innovatori: come ridurre l'incertezza

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Questo post parlerà di creazione di prodotti e servizi nuovi, capaci di trasformare la vostra azienda ed assicurarle un futuro, in modo da assicurare un futuro a tutti voi che ci lavorate dentro.

Non c’è tecnicamente modo di farlo, in modo sistematico (e dev’essere sistematico se volete salvare il vostro futuro), senza mettere il cliente al centro. Non c’è modo di progettare un prodotto di successo guardando da un’altra parte rispetto al valore creato per il mercato.

Innovazione non è usabilità

Se volete mettere il cliente al centro, cominciate col mettere l’usabilità da parte, almeno all’inizio. Non vi parlerò di usabilità. Molte aziende, grandi, che hanno attraversato crisi profonde, a volte irreversibili, vantano interi team incaricati di tutelare l’usabilità dei loro prodotti. O team di ergonomia, che cercano di far desistere gli ingegneri dal fare una macchina aerodinamica in cui nessun entra.

I prodotti non falliscono perchè non c’è un responsabile di usabilità nel team, e mi spingo addirittura a dire, solo perchè ci ho lavorato diversi anni, che l’usabilità di per sè non è un criterio positivo in assoluto. Tutti noi abbiamo esperienza di prodotti tremendi dal punto di vista dell’usabilità, che tuttavia per un certo periodo abbiamo usato con soddisfazione, e una punta di orgoglio.

L’incubo dell’incertezza

Siamo abituati a pensare l’innovazione come un processo incontrollabile, che per il fatto che è nuovo, è normale che non vada sempre bene, e ci diamo questo come scusa, perchè il futuro è incerto, è diverso dal presente, che invece è un tiranno, con le sue regole, leggi e le sue rigidità.

Managers have become so accustomed to putting Band-Aids on their impredictable innovation success, that too often they give no real thought to what’s causing it in the first place

— Clayton Christensen, HBS Professor, Author of “Competing Against Luck”

La realtà sotto agli occhi di tutti è che il confine tra presente e futuro si sta dileguando. Il mondo sta cambiando ad un passo sempre più veloce, presente e futuro si alleano contro chi sta fermo. Il perimetro di validità — e quindi competitività — delle soluzioni che troviamo oggi, si restringe sempre di più: i ‘problemi’ cambiano forma (non i bisogni, fate attenzione, i problemi!).

In questo contesto, avere tra le mani un processo incontrollabile che si chiama innovazione, è come svegliarsi ogni giorno nell’acqua e non essere certi di saper nuotare. Un incubo.

Innovare non è difficile, è una disciplina. Il problema è che la maggior parte delle aziende (ho in mente tanti casi reali con cui lavoro) si svegliano - che voivi svegliate — la mattina, con la pretesa di camminare sulle acque. Non lo fate con presunzione, non sto dicendo che siete consapevolmente mossi da arroganza: sto dicendo, però, che lo fate, e vi trovate a gareggiare in uno sport estremo, quando invece potreste semplicemente imparare a governare un diverso elemento, l’acqua. Cioè l’incertezza.

Avete processi specifici per molte cose di importanza cruciale. Supponiamo lavoriate in banca: avete un processo per l’apertura di un conto, che è diverso da quello della chiusura, o da quello di stipula di un mutuo. Avete persone estroverse che si occupano di aprire le relazioni coi clienti, e persone più introverse che magari si occupano di scrivere software. Banalizzo, sicuramente.

Provo a descrivervi a grandi linee, con questa storyboard in 10 capitoli, come vediamo funzionare il cosiddetto processo di innovazione in aziende di grandi e medie dimensioni. Poi voi valutate se assomiglia al vostro. Il processo prende il nome di ‘waterfall’ perchè procede a cascata, dall’idea, alla formulazione di un piano di produzione e di business, all’esecuzione di beta-test, fino al lancio programmato sul mercato.

Il problema di questo processo applicato ai progetti innovativi in azienda, è che fallisce circa dal 50 al 90% del casi.

Non per una mancanza di creatività, o per un’incapacità di rispettare i piani, cosa che invece ad un manager di prodotto riesce benissimo! Fallisce perchè il nuovo prodotto/servizio non soddisfa la domanda di mercato, e perchè i soldi finiscono prima che si riesca ad ‘aggiustarlo’. Il sintomo del fallimento è che l’impatto sul mercato non produce i risultati attesi. A questo sintomo la reazione più comune è quella di:

  1. aumentare gli investimenti in marketing, magari con una strategia diversa, e

  2. ‘migliorare’ il prodotto, cercando in tutti i modi di conficcarlo nel mercato,

col risultato che i soldi finiscono prima di aver ottenuto, appunto, il famoso risultato prospettato nel piano iniziale di sviluppo (business case, business plan, etc). Piano che sembrava tanto bello, quanto la capacità del project team di rispettarlo. E che poi si è schiantato contro la prima forma di elemento estraneo, fuori controllo: il mercato.

Da consulente, che viene interpellato per gestire la patata bollente al cap. 6 della storiella di prima, posso garantire che per quanto diabolico, questo modo di procedere è genuino, appassionato, perpetuato con convinzione, ed in ultima analisi con disarmata ignoranza rispetto all’esistenza di un’alternativa più efficace.

L’alternativa invece esiste, potete smettere di boccheggiare sott’acqua, e cominciare finalmente a nuotare.

Un’alternativa più efficace

Potete partire dal mettere davanti a tutto il beneficio creato per il mercato, piantando ben ferma per terra una domanda di allarmante semplicità:

Qual è il compito di grande importanza per il mio cliente, che io contribuisco a svolgere?

E poi:

Come potrei svolgerlo meglio, per il mio cliente, anche sfruttando il progresso tecnologico?

Cos’è che mi frena dal farlo meglio e come posso risolvere il prima possibile questi problemi che riguardano me e il mio modello di business, per concentrarmi sul cliente?

Tra i tanti modi per identificare e mettere al centro il beneficio per il mercato, la tecnica che abbiamo trovato, per ora, più convincente, è quella del Job To Be Done, che sostiene un approccio strategico all’innovazione chiamato Outcome Driven Innovation.

People encounter situations that drive the need for a job. They hire products or services to get jobs done in their lives — Clayton Christensen

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Dalla prospettiva del Job To Be Done, popolarizzata da Christensen, strutturata da Ulwick, e riabilitata da Klement, le persone non acquistano semplicemente un trapano: lo assumono per svolgere un lavoro importante nelle loro vite, che nell’esempio rappresentato qui sopra è quello di custodire cultura. Appare subito chiaro che da questa prospettiva il trapano può essere licenziato da questo lavoro importante, a favore di un dispositivo digitale come il Kindle.

Per un ufficio marketing abituato ad esaminare il contesto competitivo by product, questa deduzione può sembrare assurda ed inutile!

Allo stesso modo (vedi esempio rappresentato qui sotto), un comune tagliaerba, dalla prospettiva del Job di mostrare una bella facciata al vicinato, si trova a competere non solo con il giardiniere, ma anche con erba sintetica, pacciame, erba GMO, pittura per erba, e piante decorative di ogni specie che non vanno tagliate, ma potate.

La forza di questa prospettiva consiste quindi nell’illuminare il contesto competitivo dal punto di vista del cliente, aprendo gli occhi su alternative, cioè minacce, invisibili altrimenti.

Non solo. Il JTBD è anche alla base di un approccio strategico alla segmentazione di mercato chiamato Outcome Driven Innovation.

In estrema sintesi: ogni persona intraprende una catena di azioni (detta Job Map)e assume una serie di soluzioni, per completare un job. Ogni azione è legata ad una misura di prestazione, o risultato, (outcome). L’obiettivo di ciascuno sarà progredire nel miglioramento del risultato complessivo.

Se una soluzione solleva l’utente dall’onere di un passaggio della Job Map (per esempio Spotify solleva molti utenti dall’onere della selezione dei pezzi musicali da ascoltare), avrà più probabilità di essere assunta. Non è meccanico che venga assunta, perchè entrano in gioco altri fattori e altri livelli di analisi (Job StoryForces Diagrams, etc), ma si posizionerà molto bene. L’osservazione dei risultati attesi, permette di segmentare l’insieme dei consumatori — il mercato, in modo strategico, in segmenti rispetto ai quali:

  • l’offerta è sovradimensionata (problema di costo, per un servizio le cui prestazioni non vengono valorizzate)

  • l’offerta è sottodimensionata (problema di prestazioni, e disponibilità a pagare di più, per un servizio migliore)

  • l’offerta è dimensionata correttamente (nessun problema, solo opportunità di miglioramento del servizio, ad un costo pari o inferiore).

Capite bene che una volta raccolte, queste informazioni strategiche, è molto più facile posizionare l’iniziativa di innovazione. Sappiamo dove sta il problema, sappiamo a chi indirizzare il nuovo prodotto/servizio.

Non è possibile approfondire qui, nel dettaglio questo metodo e come si raccolgono questi dati (è un’insieme di tecniche etnografiche e di analisi statistica multivariata). Il punto fondamentale rimane questo: è fondamentale che l’azienda si identifichi con il valore che genera per il mercato, e tutti possono usare a proprio vantaggio quest’approccio.

Questo tipo di conoscenza sul bisogno e sui problemi, sulle aree di opportunità, mette certamente il mercato al centro del processo di sviluppo di un nuovo prodotto, e abbatte drasticamente il rischio di fallimento del progetto.