La scienza della motivazione: perchè il denaro non attiva la “spinta interiore” degli Innovatori

Sempre più aziende stanno interiorizzando un concetto: per rimanere fiorenti nel mercato è necessario innovare, e per innovare è necessario avere all’interno dell’azienda persone motivate. 

La ragione di questo si può intuire pensando all’etimologia della parola “motivazione”: il termine latino ”motus” indica un movimento, il dirigersi verso un punto desiderato. 

Come fa infatti un’azienda - che è fatta di persone - a muoversi verso un punto desiderato, se le persone che la compongono non compiono esse stesse lo stesso movimento?

Come creare un ambiente di lavoro in cui le persone si sentono motivate a dare il massimo per creare nuovi prodotti?

Qual è l’incentivo migliore?

Questa sono le domande alle quali cercheremo di dare una risposta con questo articolo.


Non sempre è una questione di soldi

Da sempre, i manager cercano di motivare le persone con incentivi di tipo economico. Ad esempio con un bonus sulla produzione, o con una promozione che vuol dire - indovina un po’ - uno stipendio più alto. 

Eppure la scienza ci rivela che in certi ambiti e per determinate mansioni l’incentivo monetario può non essere positivo. Addirittura, quando si parla di lavori che hanno a che fare con la creatività e con l’ingegno, possono portare a risultati negativi.

Dan Pink, avvocato, esperto di scienze sociali e autore di Drive: the surprising truth about what motivates us, ha lavorato per anni sulla scienza della motivazione umana, in particolar modo dedicandosi alle diverse dinamiche motivazionali intrinseche ed estrinseche. In un Ted Talk del 2009 , Pink si impegna a spiegare come viene gestita la motivazione  nelle aziende odierne, e lo fa simulando un processo giudiziario.

La tesi contro cui si scaglia è questa: “in passato gli incentivi di tipo economico sono sempre stati utilizzati nelle aziende, e hanno prodotto risultati. Quindi perchè cambiare?”

La risposta di Pink è chiarissima: perchè la scienza ci dice che non funzionano più.

“There’s a mismatch between what science knows and what business does”
— Daniel Pink

Nel 1945 lo psicologo Karl Duncker ha progettato il “problema della candela”, un esercizio di logica disegnato per valutare la capacità di superare la fissità funzionale, un pregiudizio cognitivo che porta la persona ad utilizzare un oggetto solo nel modo in cui viene tradizionalmente usato. 

Nell’esperimento, ai partecipanti viene presentato un tavolo appoggiato al muro, con sopra una scatola di puntine e un pacchetto di fiammiferi, e viene chiesto loro di trovare il modo di attaccare la candela al muro senza che la cera coli sul tavolo.

La soluzione del gioco sta nello svuotare la scatola di puntine, attaccarla al muro ed utilizzarla come base per la candela.

candle problem

Questo esercizio richiede l’utilizzo di uno schema di ragionamento aperto a diverse possibilità: trovare un nuovo utilizzo per quello che ci si trova di fronte.

Partendo da questo assunto, Sam Glucksberg, professore di psicologia alla Princeton University, ha riprodotto l’esperimento della candela con due gruppi di volontari per misurare la potenza degli incentivi sulle persone per la risoluzione di un problema.

Al primo gruppo è stato detto che verrà misurato il tempo impiegato per risolvere il problema per valutare i tempi medi di risoluzione, mentre al secondo gruppo viene presentata una ricompensa di tipo economico in base alla velocità di risoluzione (il 25% con lo score maggiore riceverà 5$, la persona più veloce della giornata 20$).

Quale gruppo ha fornito la performance migliore? Quello senza incentivo.

Al termine dell’esperimento i ricercatori hanno concluso che il gruppo a cui sono stati forniti gli incentivi ha impiegato in media 3 minuti e mezzo in più per risolvere il problema. 

Gli incentivi contingenti utilizzati in questo esperimento, guidati dal ragionamento denominato “if/then” (il portare a termine un compito viene incentivato con ricezione di un premio) funzionano in alcuni casi, ma per molti compiti possono addirittura essere dannosi. Il focus si sposta dalla buona esecuzione del lavoro all’ottenimento del bonus, limitando quindi la capacità creativa e di ragionamento laterale della persona.

Per avere certezza dei risultati, Glucksberg ha ripetuto l’esperimento cambiando però la disposizione degli oggetti sul tavolo: la scatola è stata disposta separata rispetto alle puntine, rendendola quindi un oggetto a sè. In questo caso il gruppo incentivato ha risolto l’enigma molto più velocemente del gruppo di monitoraggio. Il sistema di incentivazione “if/then” - “se fai questo, allora ottieni quello” - funziona molto bene infatti quando il compito è semplice, diretto e richiede solo di seguire un set di regole precise per arrivare ad una destinazione chiara ed unica.

Il problema dove risiede, quindi, per le aziende? Nel fatto che il lavoro sta cambiando velocemente.

Il bastone rotto e la carota amara

La maggior parte dei sistemi operativi aziendali si basa su motivazioni estrinseche: il classico metodo della carota e del bastone. Ciò funziona brillantemente per la maggior parte dei lavori del ventesimo secolo, che richiedono di eseguire un certo lavoro per arrivare da un punto A a un punto B seguendo un percorso delineato. La persona si concentra sul risultato e sul modo migliore per ottenerlo nel minor tempo possibile. Queste mansioni basate sulla routine seguendo delle regole predeterminate - alcuni tipi di contabilità, analisi finanziaria ecc - sono diventate però sempre meno centrali nello sviluppo del “new” business.

Per molte professioni del ventunesimo secolo, che richiedono l’utilizzo di capacità creative e concettuali, dove  le regole sono incerte, e le soluzioni varie e sorprendenti, questo approccio meccanicistico di ricompensa e punizione ha l’effetto opposto.

Dan Ariely, professore di behavioral economics all’MIT, ha portato avanti uno studio in questo ambito coinvolgendo degli studenti dell’università; i risultati sono stato simili. Il ricercatore ha selezionato alcuni giochi che richiedevano creatività, capacità motorie o di concentrazione, chiedendo di risolverli e fornendo ai partecipanti degli incentivi in relazione alla loro performance. Nei casi in cui il gioco richiedesse l’uso esclusivo di capacità meccaniche, i bonus hanno funzionato come si aspettava: maggiore la paga, migliore il risultato; ma se il compito richiedeva anche un minimo utilizzo di capacità cognitive, un bonus più alto risultava in una performance peggiore. Replicando l’esperimento in India (eliminando quindi il fattore culturale, e con l’assunto che un incentivo monetario sia visto di valore maggiore rispetto allo standard di vita) i risultati non sono cambiati. 

Questi risultati sono supportati anche dalla London School of Economics, che riportando i risultati di 51 studi su piani di performance ripagati all’interno di aziende, ha trovato che “gli incentivi finanziari possono risultare in un impatto negativo sulla performance generale”.

Troppe organizzazioni stanno ancora prendendo decisioni sulle proprie persone basandosi su assunzioni antiquate e basate più sulla conoscenza popolare che sulla scienza. 

Qual’è quindi la soluzione possibile? Come motivare le persone alla creatività e all’innovazione? 

La soluzione non sta nell’utilizzare una carota più dolce o un bastone più duro. Per avere un cambiamento effettivo ed efficace è necessario appoggiarsi ad un nuovo approccio. Un approccio che gli scienziati che studiano scienze umane hanno già trovato, analizzato e studiato a fondo: la motivazione intrinseca

Questa si basa sul desiderio di fare qualcosa perchè è significativo farla, fa piacere, è interessante e fa sentire parte di qualcosa di importante. 

Vari fattori entrano in gioco quando si parla di questo tipo di motivazione, ma Pink ritiene che le basi per costruire nuovi sistemi operativi aziendali siano 3:

  • Autonomia: lo stimolo a dirigere la propria vita

  • Ambizione: il desiderio di diventare migliore in qualcosa di significativo

  • Scopo: il bisogno di vedere quello che si fa come parte di qualcosa di più grande


Nuovi esempi di motivazione


Come si stanno comportando le aziende che hanno abbracciato l’idea che la motivazione migliore sia quella intrinseca e non quella economica?

Assumendo ovviamente che le persone ricevano una paga giusta e rispettabile,  la risposta sta nel puntare sull’auto-determinazione e sull’autonomia personale. 

Un classico esempio di questo tipo di autonomia è rappresentato dal caso Encarta, l’enciclopedia online creata da Microsoft a metà anni ‘90. L’azienda ha assoldato dei professionisti, chiedendo loro di lavorare alla raccolta e all’edizione delle voci enciclopediche. Tutto il team di esperti era sotto il diretto controllo di manager attenti al rispetto delle deadline, del budget e in grado di dettare i tempi. Beh, il progetto si è rivelato essere un fiasco. Ha avuto poco successo ed è stata presto dimenticato.

Pochi anni dopo però, è nata una organizzazione con molte meno risorse ma con lo stesso identico obiettivo. Si chiama Wikipedia, è uno dei siti più visitati in tutto il mondo e ancora oggi continua a crescere. Come funziona? Gli autori delle voci enciclopediche non sono pagati, ma contribuiscono al progetto per divertimento personale, in autonomia, per contribuire a creare un bene comune più alto.

Altri esempi.

Atlassian, un’azienda di software australiana ha creato i ShipitDays (Fedex Days), un’iniziativa ripetuta ogni mese durante la quale il personale ha 24 ore per lavorare solo ed esclusivamente su progetti d’interesse. Uniche 2 regole: non deve essere parte del proprio lavoro ordinario, e alla fine delle 24 ore bisogna aver prodotto qualcosa da presentare - da qui il nome dell’azienda di consegne americana specializzata in consegne veloci. 

Da queste occasioni sono nati alcuni dei prodotti più validi dell’azienda, tanto che ha deciso di applicare la stessa regola di Google del 20% (il 20% del lavoro settimanale della persona può essere impiegato per lavorare su progetti propri di qualsiasi natura, grazie al quale sono stati creati alcuni dei tool più conosciuti oggi come Gmail).

Il brand di abbigliamento e attrezzature sportive Patagonia, il cui quartier generale si trova sulle coste della California, ha una linea di condotta in vigore dalla fine degli anni 70, la “let my people go surfing time”. I dipendenti hanno la libertà di uscire dall’ufficio per andare a fare surf o altre attività all’aria aperta quando il tempo risulta perfetto, si può infatti trovare un bollettino meteo aggiornato giornalmente e una stazione per prendere in prestito asciugamani. Questa autonomia fornita alle persone permette loro di concentrare gli sforzi appieno sui progetti ma allo stesso tempo di dedicarsi a sè quando ritengono di averne bisogno. Per una persona appassionata di surf, risulta infatti più apprezzabile la possibilità di andare a surfare in un giorno di onde perfette che l’idea di ricevere un bonus per finire più velocemente un task.

La libertà e l’autonomia decisionale sono stati presi come basi solide anche dall’azienda Zappos, che si sviluppa con un sistema di self-management chiamato “Olocrazia”: qui i “lead-links”, la cosa più vicina al ruolo del manager, hanno il solo compito di assegnare dei ruoli ai dipendenti e supportarli nel loro lavoro, lasciando loro quindi completa autonomia nell’utilizzo della loro creatività e il completamento dei loro compiti. 

Un esempio italiano? Eccolo. The Doers, è uno studio di consulenza che molto spesso si occupa di accompagnare i team di innovazione di grandi aziende alla ricerca di nuovi prodotti o servizi. Nella maggior parte dei casi, come in quello di Bper, i team accolgono i nuovi processi con entusiasmo totale e dedicano al proprio progetto più tempo di quello inizialmente preventivato. Qui sotto un esempio del loro coinvolgimento, ovvero uno screenshot della chat di gruppo.

Perchè lo fanno? Beh, di sicuro non per denaro, visto che non esiste alcun incentivo economico.

Come queste, tante altre aziende si stanno adoperando per migliorare la motivazione e l'autosufficienza dei propri lavoratori, con iniziative di vario tipo che si basano sull’ attenzione verso la persona, la sua autonomia e sul significato della sua presenza all’interno dell’organizzazione, con risultati eccellenti.

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Conclusioni 

La scienza ha provato che dietro una performance lavorativa di alto livello non si trova solamente un approccio basato su “if/then”, ma una spinta invisibile ed intrinseca a fare qualcosa per il gusto di farla, per soddisfazione personale e in piena autonomia.

Per creare ambienti di lavoro sempre più motivanti è necessario quindi riparare il disallineamento tra queste conoscenze e quello che avviene ad oggi in azienda, permettendo quindi alle persone di crescere ed esprimersi al meglio delle loro capacità, con la coscienza che il loro impegno sarà utile al raggiungimento di un obiettivo più alto.

Tutto questo è particolarmente vero quando si parla di Innovazione, ovvero quando un team di persone o una intera organizzazione è chiamata ad affrontare delle sfide che, per definizione, hanno bisogno di capacità cognitive, di pensiero critico, di soft skill nuove e non ancora codificate.